I simboli gastronomici della Pasqua cattolica sono un must che ogni regione italiana è stata in grado di declinare in centinaia di modi diversi e originali a seconda delle disponibilità stagionali e territoriali. Se la cristianità italiana ha creato dei simboli immortali quali il Casatiello napoletano, la Pinza del nord Italia, gli agnelli di zucchero, la Gubana friulana ben diverse sono le tradizioni di altre comunità religiose storicamente presenti sul nostro territorio. Fin dall'epoca romana, numerose erano le comunità ebraiche presenti in gran parte d'Italia che sono state in grado di mantenere nel corso delle tempo le proprie tradizioni legate a questa ricorrenza che viene celebrata in maniera ben diversa da quella che conosciamo. Se la Pasqua cattolica celebra la resurezzione della figura di Gesù Cristo, quella ebraica (Pesach) celebra la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù nelle terre d'Egitto due millenni prima della nascita del Messia della chiesa cattolica. D'altro canto, mentre per i cattolici non esistono grandi limitazioni gastronomiche per questa festività, la Pesach al contrario è una celebrazione più complessa che dura una settimana durante la quale sono proibite molte cibarie (oltre a quelle solitamente proibite dalle regole Kosher) ed esistono precisi rituali da seguire nel corso del pranzo. Accanto al tradizione agnello o capretto che può comparire su entrambe le tavole, un alimento è storicamente legato alla tradizione ebraica: l'oca. Questo singolare pennuto è una colonna millenaria della tradizione gastronomica del popolo ebraico fin dai tempi dell'antico Egitto con il quale erano soliti confezionare piatti a base di carni fresche o salumi primitivi per la conservazione delle stesse. Una delle preparazioni forse più giovani (a causa della difficoltà di preparazione), ma forse più legata alle festività pasquali è il salame d'oca. Realizzato interamente con carni d'oca conciate con sale, pepe e pepe garofanato e grasso d'oca, anticamente veniva insaccato direttamente in un budello naturale realizzato con la pelle sgrassata del collo d'oca che gli conferiva una classica forma triangolare. Tradizionalmente, l'epoca di macellazione di questi animali corrispondeva con i primi freddi che ne permettevano l'uccisione (intorno ai primi di novembre) e, mentre per salumi più semplici come i petti e le cosce essiccate i tempi di stagionatura non erano molto lunghi (ca. 2 mesi), per il salame i tempi si allungavano notevolmente.
Tenendo in considerazione un adeguato periodo di asciugatura e stagionatura naturale, questo prodotto era solitamente pronto per essere degustato nel corso della Pesach. Oggi questa tradizione non è più seguita come un tempo soprattuto a causa della difficoltà di reperimento di questo prodotto e per la difficoltà nel realizzarlo, ma di per sè, l'oca rimane a tutti gli effetti un prodotto legato a questa cultura che l'ha identificato come fonte animale per la realizzazione di innumerevoli preparazioni gastronomiche e non. Per i più curiosi o più conservatori di queste tradizioni, è ancora possibile trovare questo prodotto tipico in alcune delle zone italiane più interessate dalle comunità ebraiche quali la Lomellina, la provincia di Ferrara, l'alto Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
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Le giornate si sono allungate, i prati sono finalmente fioriti e in alcune zone i primi tuoni della stagione non si sono fatti aspettare ... Il momento è perfetto per interrompere il risposo del nostro salame d'oca che ha raggiunto la giusta stagionatura. Si può dire che questo momento è arrivato proprio nel periodo giusto! Mancano infatti solo pochi giorni alla Pasqua, cioè il momento principe durante il quale veniva consumato nelle comunità ebraiche dalle quali è scaturita la ricetta originale. La giusta temperatura e il corretto bilanciamento dell'umidità, hanno portato questo straordinario salume realizzato solo con carni d'oca italiane allevate a terra ad essere un pezzo di straordinario artigianato gastronomico locale di altissima fattura e qualità organolettica. Le antiche tecniche artigianli affiancate alle moderne tecnologie di controllo, rendono il Salame d'oca stagionato di Oca Sforzesca un pezzo di storia antica elevata sul podio della gastronomia gourmet moderna. Se storicamente, questo prodotto, richiedeva almeno tre mesi di stagionatura date le sue dimensioni e lo spessore del collo dell'oca, utilizzato come budello, la nostra personale versione necessita di 45 giorni per raggiungere la consistenza e il sapore ottimale per essere apprezzato da tutti. Non esiste un prodotto stagionato che meglio permetta di assaporare il gusto autentico delle carni d'oca allevate a terra com'era tradizione nelle cascine della Lomellina. Il sapore intenso della carne stagionata è perfettamente combinato con le spezie contenute nella concia e accompagnato dal dolce profumo del grasso d'oca che amalgama delicatamente il tutto. Non solo buono, ma anche straordinariamente leggero ed equilibrato. La bassa percentuale di grassi saturi a favore degli insaturi e la quantità di sale che si aggira intorno al 30% in meno rispetto agli altri salami. Queste caratteristiche, rendono il salame d'oca stagionato molto digeribile e adatto ad essere integrato in una dieta ipocalorica. Pur essendo saporito e gustoso assaporandolo da solo, si adatta perfettamente a moltissimi abbinamenti ... alcuni dei quali vi verranno svelati nella prossima uscita! Salame stagionato d'oca di Vigevano De.C.O..
A noi italiani piace aspettare, è impossibile negarlo! Per sfuggire dalla routine quotidiana di una pasta pronta in cinque minuti e una pizza pronta in tre, andiamo sempre alla ricerca di qualcosa di esageratamente più buono che inspiegabilmente richiede tempo per essere prodotta. Pensiamoci un attimo ... Il nostro primo piatto del sabato sera: un ottimo risotto da 20 minuti, Il secondo piatto tanto ambito: un succulento taglio di carne frollata almeno 30 giorni, Il vino ideale: un rosso corposo da 5 anni. Tempo ... Tutto ciò che desideriamo assaporare nei nostri momenti più speciali richiede tempo. Il Natale per molti è sinonimo di panettone tanto quanto la Pasqua lo è per la colomba: è necessario un anno di pazienza per gustare prodotti del genere. Noi ormai siamo abituati a collegare queste ricorrenze a pezzi intramontabili di cultura gastronomica. Tuttavia esistono molte altre tradizioni che non conosciamo, ma che tengono in considerazione il fattore tempo. Trenta sono i giorni che occorrono per la schiusa di un uovo d'oca ...
Cinque sono i mesi che servono per farla crescere libera e in salute ... Tre sono i giorni che occorrono per preparare un salame d'oca fresco ... Tre o quattro sono i mesi che servono per stagionare correttamente un salame d'oca da gustare il giorno di Pasqua... Proprio così, esiste una cultura dove il salame d'oca stagionato è un prodotto che viene consumato il giorno di Pasqua con un'attesa che dura quasi un anno. Tagliare e gustare ogni singola fetta significa assaporare il valore del tempo utilizzato per la realizzazione di questo prodotto. Purtroppo tendiamo a considerare lontani nel tempo e nello spazio eccellenze della nostra gastronomia come un buon Franciacorta che richiede mesi per la presa di spuma e un buon salume che stagiona lentamente per 18 mesi, eppure essi hanno alla base lo stesso concetto. Inutile considerare diversi due prodotti che nell'immaginario collettivo sono posizionati su piani mentali anche molto lontani. Così distanti possono apparire una coppa di Franciacorta e una fetta di salame d'oca ben stagionato, ma la cosa che li accomuna è sempre la lunga attesa per ottenere la materia prima e la minuziosa lavorazione per realizzare un prodotto finito di altissima qualità. Ormai la nostra Pasqua è molto vicina e noi siamo in trepidante attesa di conoscere il risultato del nostro lavoro durato molti mesi ... Sarete dei nostri quando decideremo di aprire le sale di stagionatura? Ecco fatto il becco all'oca (e le corna al Podestà) è un proverbio coniato nella Firenze medioevale per indicare la figura del Podestà quale gabelliere gabbato a sua volta dai debitori.
Nella versione maggiormente diffusa si sostiene che il Podestà avesse una moglie molto avvenente e disponibile per cui egli fece costruire da un fabbro una cintura di castità. Ciononostante uno spasimante della moglie riuscì ad aprire la cintura con una chiave a forma di becco d'oca e dopo aver giaciuto soddisfatto con la signora, l'amante pare esclamasse: Ecco fatto il becco all'oca e le corna al Podestà. La frase può essere utilizzata anche per indicare che si è compiuto allegramente e con buon esito un lavoro. 1/25/2017 Il salame di Pasqua. E se fosse d'oca?Quest'anno cerchiamo di anticipare i tempi! Sappiamo bene che la Pasqua arriverà il 16 aprile, ma proprio per questo desideriamo iniziare un lungo cammino alla ricerca di alcune tradizioni del nostro paese ... e non solo. Nel corso della Quaresima e nel giorno del venerdì Santo è consuetudine "mangiare di magro", durante la domenica di Pasqua, al contrario, è d'uso consumare un pasto festivo che comprende anche la carne e i salumi difficilmente mancano! Quando degustiamo una morbida fetta di salame inserita elegantemente fra gli antipasti, non possiamo minimamente immaginare quale sia la sua storia e il suo vissuto. L'antica tradizione di far salami deriva da una necessità che è ben lontana dai nostri giorni: conservare la carne per lunghi periodi. I nostri antenati, non potendo usufruire della tecnologia del frigorifero, hanno scoperto per caso che inserendo la carne tritata e salata all'interno di un contenitore naturale (il budello), questa poteva conservarsi quasi per magia per lunghi periodi. Quella che per loro era un mistero della natura, oggi è conosciuta come fermentazione e viene usata ampiamente dall'uomo per realizzare, salame, vino, birra, formaggio yogurt e pane. La fermentazione è un processo complesso da spiegare ai non addetti ai lavori, ma vi basti pensare che nel corso di questa fase, miliardi di piccoli batteri usano le sostanze presenti nella carne per svilupparsi producendo acido lattico che abbassa il pH dell'alimento rendendolo, nel caso del formaggio e del salame, conservabile e stagionabile anche per lunghi periodi. Questo vale naturalmente per i salami di suino, ovino, caprino e naturalmente per il salame d'oca. Dietro al bianco palmipede, però esiste una storia ancora più singolare. Come saprete, l'oca è considerata il degno sostituto del suino per il popolo ebraico: insomma, non si butta via niente. Se poi la storia vuole che il salame sia tutto italiano, allora le prime comunità che hanno preso dimora sul nostro stivale, hanno capito immediatamente come sfruttare le carni d'oca per creare il salame d'oca ecumenico, anche perché la carne d'oca si presta bene alla stagionatura. La tradizione ebraica vuole che il palmipede sia pronto da macellare verso fine ottobre o inizio novembre, come del resto il suino per i cristiani.
Una volta ricavate le carni fresche dall'animale, queste vengono tritate assieme al grasso, condite con sale, pepe e pimento (pepe garofanato) e insaccato nel collo dell'oca come vuole la legge kosher più tradizionale. A questo punto i salami d'oca vengono posti ad asciugare in cucina oppure nell'intercapedine delle doppie finestre. Guai a chi toccherà i salami d'oca prima della Pesach (Pasqua ebraica). Una volta pronto, il salame d'oca potrà essere degustato durante le festività che ricordano la liberazione dalla schiavitù dall'Egitto e l'Esodo verso la terra promessa. 11/15/2016 A ném in òca"A ném in òca" cioè "Andare in oca" è un detto popolare e figurativo che ha significati leggermente diversi a seconda della zona. Nel nord Italia significa confondersi, mentre nel Canton Ticino in Svizzera significa dimenticarsi di qualcosa.
11/1/2016 L'oca di San MartinoL'autunno porta con sé atmosfere da leggenda e molte sono le giornate in cui potremmo festeggiare e raccontare bellissime storie suggestive. In Germania, Austria e Italia, l'11 novembre è dedicato al ricordo delle vicende di San Martino vescovo di Tours (316-397 d.C.) e Patrono delle nostre oche. Martino, ancora bambino, si trasferì a Pavia con i suoi genitori e lì trascorse la sua infanzia. Ancora giovane fu reclutato dall'Impero Romano e inviato in Gallia dove passò la maggior parte della sua vita come soldato nelle truppe non combattenti. Si narra che nel rigido inverno del 335 d.C. il Cavaliere Martino, uscendo dalla città francese di Amiens per il suo turno di guardia, incontrò un vecchio seminudo e infreddolito. Davanti a tale scena Martino, con la sua spada, tagliò in due il caldo mantello militare di lana e lo diede al mendicante affinché potesse proteggersi dal freddo. Questo episodio ebbe un tale impatto su Martino che si convertì al cristianesimo e giunto all'età di quarant'anni decise di lasciare l'esercito. Prese i voti da monaco e si ritirò in un convento e nel 371 diventò vescovo di Tours. Nel centro Europa tipiche di questa festa sono le processioni di bambini con lanterne di carta (Laternen) ed è per questo che viene anche chiamata "Festa delle lanterne". Alla sera la portata principale è il tradizionale Arrosto d'oca (la Martingans): si tratta di un delizioso piatto normalmente ripieno di mele e castagne, accompagnato da grandi gnocchi di patate (Martinsgans mit Rothkohl und Schmorapfel). In Italia un detto popolare dice: "A San Martino pane, oca e vino" che riassume le portate principali di questa festa oltre ai prodotti reperibili in quel momento. Infatti, in questo periodo, si può già degustare il primo vino novello e le oche hanno raggiunto la giusta età. Il consumo di oca in questa giornata è però spiegato da un altro evento della sua vita in cui Martino, non volendo diventare vescovo per umiltà, scappò dal convento di notte e si rifugiò in uno stabbio di oche. Queste, come nella antichissima tradizione romana, cominciarono a starnazzare e rivelarono la sua presenza a chi lo stava cercando. Ed è per questo motivo che viene anche ritratto con un'oca.
Inoltre, l'11 novembre, dettava l'inizio dell'annata agraria come pure l'inizio dei contratti di locazione. Era infatti frequente incontrare persone che facevano trasloco da cui il detto usato ancora oggi: "Fare San Martino". Lo stesso periodo è chiamato anche "L'estate di San Martino: tre giorni e un pochino" in cui si può ritrovare un clima più mite prima dell'inverno vero e proprio.
In questi mesi abbiamo parlato molto della Lomellina eleggendola spesso a casa natale delle oche alle quali è dedicato questo blog. Ebbene, ad oggi questa zona sta riscoprendo una tradizione che da tempo rischiava l'estinzione se non grazie a piccoli produttori locali che ne perpetuavano il ricordo. Non crediate però, che la Lomellina, sia sempre stata l'unico territorio vocato per oche e produzioni correlate. C'è stato un tempo in cui anche il Piemonte era conosciuto per queste attività. Per comprendere meglio lo sviluppo della gastronomia dell'oca dobbiamo analizzare i flussi delle comunità ebraiche in Italia e i regolamenti del Ducato di Milano. Le prime Comunità ebraiche in Italia si ritrovano nel 750 a. C. esclusivamente nell'area meridionale per poi spostarsi nel 200 a. C. a Roma e finalmente arrivare al nord Italia nel 1200 a. C.. Nel '400 Ludovico il Moro conferma i permessi agli ebrei per l'allevamento delle oche e l'apertura delle beccherie (macellerie). Tuttavia nel 1492 lo stesso espelle tutti gli ebrei da Milano spingendo queste comunità a distribuirsi su tutto il territorio limitrofo a Milano, in particolare da Magenta fino a Torino. Le comunità ebraiche trovano nel territorio della Lomellina e piemontese la presenza delle oche, parte integrante delle attività agricole del tempo, e contribuiscono a sviluppare una gastronomia dell'oca legata al territorio non solo per la produzione di salami d'oca. Nel 1596 a Casale Monferrato (AL), la magistratura afferma in un documento ufficiale che "gli hebrei nelli mesi de l'Inverno magnano per l'ordinario carne d'oche"*. Un'indicazione involontaria che ci permette di capire che questo "mangiare all'ebraica" era già conosciuto nell'area del Monferrato e non solo. In tutto il Piemonte l'allevamento e il consumo di carni d'oca era già attestato e riconosciuto anche fuori dal territorio**. Ad Alessandria, per esempio, abbiamo notizia di un certo Abramo Sacerdoti che nel 1566 concesse al nipote Clemente di esportare al di fuori dello Stato milanese (del quale Alessandria faceva ancora parte) grandi quantità di insaccati d'oca "fra carne salata et cervelati seu salcicie"*** Non solo l'area di Casale Monferrato (AL), ma anche Carmagnola (TO), Alessandria e Savigliano (CN) brulicavano di attività legate all'allevamento e al consumo di prodotti d'oca, soprattutto nelle comunità ebraiche locali. Probabilmente, fra tutte le aree interessate da queste attività produttive, Carmagnola (TO) divenne il polo stabile più importante nella realizzazione di salumi d'oca. Già nella prima metà del XVIII secolo, infatti, era grande produttore di "salami d'ocha e consimili" e nel 1725 la comunità ebraica pagava una tassa sul sale che "gli hebrei di Carmagnola impiegano nel salume delle carni et sallame" **** In Lomellina l'allevamento delle oche diventa così importante da spingere il Comune di Rosasco (PV) a proibire con una Delibera il pascolo indiscriminato delle oche nonché a nominare il Guardiano delle oche (1806). Da queste informazioni si evince come almeno dal XVI secolo, se non prima, anche il Piemonte fosse interessato dalle attività legate all'oca delle popolazioni ebraiche presenti in loco. Da qui non è difficile dedurre come le attività di trasformazione dell'oca fossero strettamente legate alla disponibilità di materia prima, cioè agli allevamenti in loco. Infatti le città riportate sorgono negli ultimi tratti di Pianura Padana, molto adatta alla crescita delle oche. La cartina sottostante rappresenta in maniera plastica la zona di allevamento colorata in arancione. Come potete vedere le Provincie di Pavia, Lodi, Milano, Novara, Vercelli, Torino, Cuneo, Asti e Alessandria rappresentano una zona contigua e circoscritta che ben rappresenta e chiarisce i flussi anzidetti. * Cfr. Segre, Gli ebrei e il mercato delle carni, cit. pp 219 - 237
**"The fondness for goose, expecially in Piedmont, was proverbial among the Jews", The History of the Jews in Italy, cit,. p. 359 *** Cfr. Sh. Simonsohn, The Jews in the Duchy of Milan, II, Jerusalem 1982, pp. 958, 1444. **** Cfr. R. Segre, The Jews in Piedmont, III Jerusalem 1990, pp. 1412-1438. Storia, cultura, lusso, festa... queste sono alcune delle parole chiave che si celano dietro una fetta di Galantina. Dimenticata nei ricettari antichi e riproposta solo da qualche massaia dell'Emilia Romagna, delle Marche e della Lombardia, oggi la Galantina torna a riconquistare la fama che l'ha contraddistinta per secoli. Cosa si cela dunque dietro questa preparazione? Un ricco impasto di carne mista, di suino o di volatili di bassa corte, fino alla selvaggina, insaporita da spezie, tartufi, pistacchi e vini liquorosi adeguatamente amalgamati. Il tutto ben avvolto all'interno di una pelle naturale o un salume, cotto a bassa temperatura per ore e affogato in una gelatina, dalla quale deriva il nome della preparazione. E l'oca? Volatile storicamente non tipico per questa preparazione, veniva sostituito da capponi, polli ruspanti e anatre. Solo in Lomellina troviamo questa curiosa ricetta interpretata con le carni d'oca, ma si tratta di una tradizione riservata a pochi gourmet e addetti del settore. Eppure qualcuno ha deciso di riportare in auge questa pagina di storia gastronomica trasformando le nobili carni dell'oca italiana in una Galantina d'oca saporita e adatta ai palati più esigenti in una veste del tutto nuova. Oca Sforzesca ha selezionato le carni migliori delle proprie oche per creare un prodotto unico nel suo genere: la Galantina d'oca. Morbida, dolce, saporita, leggera, elegante, la Galantina ha tutte le caratteristiche raffinate che vi aspettereste da un prodotto d'oca, ma con un gusto unico nel suo genere.
Tagliata a fette sottili in affettatrice o sbriciolata in una fresca insalata, la Galantina d'oca è in grado di arricchire la tavola quotidiana come quelle delle grande occasioni. Dalle sfarzose tavole delle corti medioevali e rinascimentali, la Galantina d'oca può tornare a completare la dieta quotidiana come prodotto fresco e leggero adatto a uno stile di vita moderno e salutistico. 6/3/2016 Ancora crudeltà nel piattoSiamo davvero sicuri di cosa mangiamo? Cuochi, gastronomi e ghiottoni hanno elogiato per secoli la bontà e la raffinatezza del foie gras d'oca e d'anatra, preparazione d'eccellenza della tradizione europea. Non tutti sanno però da dove deriva questo prodotto. Il foie gras non è altro che il fegato ottenuto per sovralimentazione dei volatili da ingrasso come le oche e le anatre che vengono cresciute e ingozzate nell'ultimo periodo della loro vita. Immobilizzate per impedirne il movimento, questi animali vengono alimentati con l'ausilio di lunghi tubi che "iniettano" direttamente il mangime nel loro apparato digerente. Questa alimentazione forzata, in gergo tecnico è chiamata gavage, e permette di portare in poco tempo il fegato allo stato steatosico del peso di circa 1 kg. Una barbarie senza tempo Questa "prelibatezza" non conosce tempo. Già nell'antica Roma, le popolazioni dell'Impero ingrassavano forzatamente le oche con i fichi per ottenere dei fegati grossi e saporiti. Un'usanza che è arrivata fino a noi e che ha permesso alle povere genti della Pianura Padana di sopravvivere alla fame più nera delle campagne. Oggi, la nostra società non vive più gli stenti della fame e perciò sarebbe opportuno rivedere alcune usanze alimentari... Francia, Ungheria, Spagna, Belgio, Bulgaria sono gli unici paesi europei che possono ancora produrre il foie gras. L'Italia ha detto di no a questa pratica nel 2001 e perciò tutto il prodotto presente sul mercato italiano proviene dall'estero. Dopo l'asportazione del fegato la carne grassa d'oca estera, considerata un sottoprodotto, viene venduta sui mercati di tutto il mondo a prezzi molto vantaggiosi. L'impegno di Oca Sforzesca Innovazione, qualità e sostenibilità sono solo alcuni dei pilastri della mission di Oca Sforzesca. A questi si aggiunge l'attenzione per il benessere animale che gli consente di ottenere dai suoi allevamenti delle ottime carni d'oca magre e fegati sani e delicati di circa 100 g. Libertà di correre in ampi spazi, riparate dal freddo durante la notte, in piena libertà per l'alimentazione sono i caratteri che contraddistinguono la filiera dell'oca magra italiana.
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Giugno 2022
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